Bovisa: che nostalgia! – pt. 1

Ho messo piede per la prima volta in Bovisa il 25 luglio 2013. Quando dici “Bovisa” due volte su tre intendi, per sineddoche, una delle sedi del Politecnico di Milano che nel quartiere è ospitata. La mia maturità era terminata da poco più di venti giorni, subito dopo c’erano stati una vacanza in Croazia, una settimana di lavoro a Rieti, uno spettacolo teatrale con un laboratorio scolastico. Era il giorno del test in Design della Comunicazione. Avevo scelto di viverlo senza aspettative e senza ansie. Modalità d’animo che si traduceva in presentarmi all’esame senza essermi preparato, accompagnato solo da me stesso, abbigliamento composto da una polo, un paio di pantaloni corti, birkenstock ai piedi. Un’ora prima dell’esame ero seduto sul prato del giardino ovale della scuola del design mentre mangiavo una focaccia coi pomodorini — poi avrei scoperto che sarà una costante dei pranzi trascorsi in Bovisa — e leggevo al sole un libro di Daria Bignardi.

Nell’edificio che ospitava l’aula c’erano ragazzi in ogni dove, sommersi da testi di riferimento. Chi ripeteva. Chi si interrogava a vicenda con un amico. Chi sfogliava in modo compulsivo uno di quei libri scritti con il fine di aiutarti alla preparazione ai test di ammissione. Solo lì, dentro di me si formulavano le prime domande: sbagliavo io o sbagliavano loro? Avevo preso questo step — che non definirei proprio irrilevante per la mia carriera futura — forse troppo alla leggera? In quei momenti di attesa, mentre ci mettevamo in fila in attesa di risolvere tutte le questioni burocratiche e di prendere posto, scambiavo qualche parola con un ragazzo in coda dietro di me. Entrambi entriamo in quel mood da “Sono sereno e te lo faccio capire, così ti metto un po’ d’ansia”, “Sono sereno anche io, stai tranquillo”. Poi sgancio la bomba e dico «No be’ dai…in matematica e fisica sono abbastanza forte». Lui risponde in tempo record «Matematica e fisica non ci sono in questo test». Il gelo. “È finita” penso. Ma sono qui, non ho altre scelta che sedermi e darci dentro. L’ansia può aspettare.

Era passato un mese circa, il tempo necessario per formulare una graduatoria. Il 19 Agosto apro il portale del Politecnico di Milano, pronto a dirmi che avrei potuto spendere quel tempo e quei soldi in modo migliore. Se fino a quel momento avevo delle speranze, degli obiettivi, ora non c’era più niente. Punto e a capo. Una riga stretta e poco leggibile diceva “disponibile all’immatricolazione”. Rileggo. Traduco. Ero dentro. Ce l’avevo fatta.

Mi servì ancora qualche minuto per capire che quella riga raccontava anche che quel giorno al test eravamo più di 3000 a concorrere per i quattro indirizzi di design: moda, interni, prodotto e comunicazione. C’era chi ci aveva provato 3 volte. Chi pur volendo fare comunicazione era entrato a moda e se la doveva tenere. Chi era costretto a rinunciarci per sempre.

Io, con un libro di Daria Bignardi nello zaino e una focaccia coi pomodorini avevo superato uno scoglio per entrare nell’università che, solo col tempo avrei capito, mi avrebbe dato più di quanto io abbia dato a lei.

Bovisa Politecnico 1
Bovisa Politecnico 2